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Coltivare lamponi equivale a stringere un patto con la terra; ci si impegna ad esserle fedeli quindici anni: tale è infatti l’arco di tempo per cui la pianta dà frutti. Una promessa che però è, al tempo stesso, una scommessa, soprattutto se quella terra è stata crivellata dalla guerra. Da questo azzardo è nata a Bratunac la cooperativa Insieme  (qui la loro pagina Facebook)

Il comune di Bratunac si trova lungo la riva della Drina, al confine tra Serbia e Bosnia Erzegovina; fino al 1991 era uno dei principali centri di produzione di piccoli frutti, all’interno della Jugoslavia. Poi è arrivata la guerra, il massacro di Srebrenica nel luglio 1995. Sì, perché Bratunac confina a sud proprio con Srebrenica. Tra il 1992 ed il 1995 sono state cancellate 4.221 case su 5.205; a fronte di una popolazione di 33.575 abitanti nel 1991, dodici anni dopo si era scesi a 22.000. Una terra svuotata della sua principale fonte di forza, la sua gente, e sfigurata dalla distruzione del più piccolo dei semi di vita. La guerra cammina sulla testa delle persone strafottente ed impietosa, come una ruspa.

Nel 2000 qualcosa però comincia a smuoversi. Rada Zarkovic (Consorzio Italiano di Solidarietà – ICS), che ha vissuto l’esperienza di profuga a Belgrado dove con le Donne in nero si è opposta alla guerra, arriva a Srebrenica e Bratunac. Con lei alcune donne in precedenza sfollate a Sarajevo e Tuzla: l’intento è capire se – ed in che termini – si può pensare ad un ritorno a casa. Concluso il viaggio, spiega la Zarkovic “ho parlato con Skender, mio collega all’ICS. Abbiamo pensato a cosa avremmo potuto fare per aiutare quelle donne a rientrare, e abbiamo capito che senza una base economica per loro non ci sarebbero state possibilità […] Abbiamo avviato un’indagine per capire quali attività avrebbero potuto radicarsi in quel territorio, nella Bosnia orientale. Abbiamo quindi cercato la collaborazione del Forum delle donne di Bratunac e di un’altra associazione di donne, Zene Podrinje. In breve tempo è emerso chiaramente che una delle tradizioni più solide di questa zona, per la quale c’erano sia risorse che conoscenze, era la coltivazione dei lamponi […] Nella zona c’erano moltissime madri sole. Nel 2002, quando abbiamo iniziato, erano 1.080 nel solo territorio di Bratunac […] le donne musulmane entravano nella nostra cooperativa anche e soprattutto per cercare sicurezza, in una zona che ovviamente era molto delicata. Le donne serbe d’altro canto erano guidate da una forte motivazione di carattere economico. Noi ci siamo costituiti come cooperativa multietnica, aperta a tutti. Questa era la nostra unica discriminante. Chi non se la sentiva di stare insieme, non si presentava.”

Uno dei più urgenti problemi che Rada e le altre devono affrontare è quello relativo al reperimento dei fondi necessari ad avviare il progetto. In un primo momento decidono  perciò di autofinanziarsi. “Poi abbiamo coinvolto la rete di contatti con le associazioni italiane che si era costituita durante e dopo la guerra. Hanno accettato subito Assopace e Agronomi senza Frontiere di Padova e Verona, insieme alle Donne in Nero di Verona. Con loro, e l’Associazione Cooperazione allo Sviluppo (ACS) di Padova, abbiamo presentato un progetto alla regione Veneto che ci ha consentito di assumere un agronomo per seguire i produttori […] Nel tempo la rete di sostegno italiana si è trasformata, sono entrate importanti realtà del Trentino come l’associazione La Ventessa di Lisignago Val di Cembra e la stessa Provincia autonoma di Trento, che ha finanziato un vivaio per la produzione di piante madri […] I produttori locali avevano esperienza, ma purtroppo dal punto di vista delle conoscenze erano rimasti fermi al ’91-’92. La guerra aveva interrotto tutto, non c’erano più stati aggiornamenti. Per questo il lavoro di rete con l’Italia per noi è stato fondamentale. L’incontro decisivo direi che è stato quello con l’agronomo Ilario Ioratti, ex direttore della cooperativa S. Orsola di Pergine Valsugana.” L’acquisto delle attrezzature necessarie è stato invece possibile grazie ad un prestito decennale da parte di Banca Etica.

Così, nel maggio 2003 vede la luce la cooperativa. I soci fondatori sono dieci, nel 2004 passano a 151 e l’anno seguente arrivano a 241. Già nel 2006 sono 400, distribuiti tra le varie frazioni di Bratunac e Srebrenica; ad oggi sono più di 500. Mirtilli, lamponi e frutti di bosco che crescono spontaneamente sui monti Radan, Cvrsnica e Vranica vengono raccolti a mano, trasportati presso la sede della cooperativa, e lì congelati. Qui inizia la lavorazione, al termine della quale diventano confettura o succo (rigorosamente bio) che in Italia sono proposti da Altromercato  .

Per ricostruire la vita è necessario aver cura della ferita che l’ha offesa, aver voglia ed energia sufficienti per consentirle di cicatrizzare, ed al tempo stesso non perdere la curiosità e la fame di futuro. Entrambe le cose richiedono coraggio, tenacia … e la capacità di tendere la mano al tuo vicino, anche lui ferito, seppur dopo le macerie costa fatica. Perché per restare non basta tornare, serve qualcos’altro, in aggiunta: si chiama fiducia. “Se lavori insieme sei costretto a parlare, ad ascoltare, a capire il dolore dell’altro, l’elaborazione è un processo faticoso e lungo, non è facile recuperare i valori che una violenza dissennata ha distrutto”, spiega la Zarkovic. E le marmellate di Rada e le sue donne portano con sé il gusto di tutti questi frutti. Da proteggere ed aiutare a crescere perché preziosi, e delicati, nel clima difficile che li ha visti nascere.

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2 responses to “Bratunac, la fiducia è un frutto … che dona marmellate”

  1. bella storia questa.

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