L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Antonio Cipriani prende in prestito queste parole da Italo Calvino, nella prefazione che ha scritto per il libro d’inchiesta La Sardegna è un’altra cosa. Viaggio giornalistico nell’isola della crisi (Ethos Edizioni) (1) di Claudia Sarritzu.
Dopo il crollo del sistema finanziario mondiale nel 2007 è arrivata la reazione dei sardi. Da sei anni circa abbiamo iniziato a urlare al mondo intero, con manifestazioni estreme, con presidi originali (pensiamo alla vertenza Vinyls che ha portato i suoi operai all’Asinara), di essere un’altra cosa da quell’immagine bucolica e stereotipata di terra sottomessa e muta che una letteratura anche autobiografica ci ha appioppato per secoli”. Potremmo usare queste parole della Sarritzu per introdurre La Sardegnaè un’altra cosa, il cui titolo è ispirato alla descrizione dell’isola di D.H. Lawrence. Il libro è “figlio” del bagaglio di umanità che l’autrice, vincitrice tra l’altro del Premio Letterario Città di Cagliari nel 2010, ha accumulato in quattro anni di cronache e servizi radiofonici. Nata a Cagliari nel 1986, ha infatti collaborato con alcune testate sarde e, a livello nazionale, con L’Espresso e Globalist Syndication (2); attualmente coordina Globalist Cagliari (3).
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