Angeliki ha un bel vestito giallo e intorno tutta la famiglia. Oggi sarà la principessa di casa, dato che è il suo undicesimo compleanno. Qualcosa fa però pensare che la sua vita sia ben lontana dai colori pastello della torta che nonna e mamma hanno preparato.
Angeliki infatti, nel bel mezzo della festicciola casalinga, si suicida gettandosi dal balcone.
Un pugno nello stomaco ben assestato, proprio mentre, illusoriamente, lo spettatore si preparava a rilassarsi e magari anche a sorridere un po’. Si apre così Miss Violence, secondo film di Alexandros Avranas.
Miss Violence: ignorare l’elefante nella stanza
La famiglia di Angeliki sembra assorbire il lutto con la stessa rapidità con cui un panno di daino s’impregna d’acqua. I bambini tornano a scuola sin dal giorno seguente, l’armadio un tempo era appartenuto alla ragazzina viene immediatamente liberato.
Il (maniacalmente) efficiente “uomo di casa” si reca in Comune per sbrigare le incombenze burocratiche connesse alla tragedia.
La casa è pulita e dignitosa, in tavola non manca il cibo, nonostante nessuno lavori e il sussidio scarseggi.
Però, quelle porte, ora ossessivamente serrate, ora brutalmente smontate, urlano i segreti pervicacemente taciuti dai membri del nucleo familiare.
Via via che la trama si dipana, le note stonate aumentano. Si sommano, si accumulano, fino a diventare i tasselli di un (disperante) mosaico. Spetta allo spettatore ricomporlo. Per quanto assurdo e spietato possa sembrargli ciò che vede concretizzarsi.
Ispiratosi all’opera dell’austriaco Michael Haneke, con Miss Violence Avranas ha confezionato quella che qualcuno ha definito «una versione glaciale e rigorosissima di un dramma da camera claustrofobico».
I rapporti sono oggetto di un’autopsia connotata da inquadrature che mutilano ambienti e personaggi. Un perturbante gioco di specchi in cui è difficile distinguere la vittima dal carnefice. Riuscitissimo lo stratagemma del lento disvelamento dei gradi di parentela che intercorrono tra i protagonisti.
«Camera fissa, sempre. Non si esce di casa, mai. Si andrà al mare (forse) se si metterà in ordine casa. Tanti silenzi che fanno male più di mille grida a scena aperta».
In Miss Violence Avranas distilla sapientemente freddezza e allusività: lo spettatore si ritrova immerso, poco a poco, in un baratro di cui non si scorge il fondo.
Si sceglie quindi di non delineare nettamente gli spaccati di violenza e aberrazione. Si preferisce che sia lo spettatore a ricostruirli, attraverso l’intuizione, partendo da piccoli dettagli e accenni suggeriti.
Il regista ha dichiarato: «il film è tratto da una storia accaduta in Germania, tre volte più dura. Il cinema ha il dovere di rappresentare queste vicende. Senza esagerare con la violenza, per evitare che lo spettatore abbia una reazione di chiusura e rifiuto nei confronti della vicenda».
Se le porte potessero parlare…
La musica ha il compito di sottolineare gli snodi più importanti della trama, risultando, talvolta, il contrappunto grottesco a situazioni squallide. Un esempio, la scena in cui la figlia maggiore viene portata dal padre a casa di un cliente, e siede sul divano mentre i due ballano sulle note de L’italiano di Toto Cutugno.
Nel 2014 Miss Violence ha vinto il Leone d’Argento alla migliore regia e la Coppa Volpi per il miglior interprete, Themis Panou, nel ruolo del padre/nonno (Mostra del Cinema di Venezia).
Hanno scritto: «Il suo volto freddo, privo di espressione e senza mai un, seppur leggero, accenno di comprensione o cedimento e, men che meno, umanità. Testimonianza di come quasi tutto l’orrore che accade sia voluto.
Quasi assurdamente da giustificare e accettare, da una volontà divina superiore, di cui lui ne è lo strumento o, addirittura, l’artefice stesso».
Guardare senza vedere, a volte, è una colpa
Disturbante, scomodo, spinoso. Miss Violence è senza dubbio un film che merita di esser visto, in quanto nato dalla volontà di accendere i riflettori su un tema tanto dibattuto negli ultimi anni, quanto scottante. La cifra stilistica del regista, caratterizzata dalla totale assenza di empatia nei confronti dei personaggi, non necessariamente è condivisibile, ma risponde a un preciso e chiaro intento autoriale, che con coraggio e onestà viene sottoposto al vaglio del pubblico. Una pellicola capace di mettere in moto le coscienze, smuoverle, “costringerle” a porsi criticamente nei confronti della realtà. Nella speranza che non ci siano ancora, in futuro, altre Angeliki stritolate dalla violenza a causa dello sguardo fin troppo distratto dei grandi.
Guarda il trailer di Miss Violence su Youtube
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