«Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purchè sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano».
Mi son tornate in mente queste parole, l’incipit di Kitchen di Banana Yoshimoto, la prima volta che ho ascoltato Hotel Valentine, l’ultimo lavoro del duo giapponese Cibo Matto. Si attraversa il disco, infatti, respirando la stessa fresca e morbida stravaganza caratteristica del romanzo che proiettò l’autrice nipponica a livello internazionale.
Hotel Valentine, che segna il ritorno di Yuka Honda e Miho Hatori sulla scena musicale, è stato da loro definito un bricolage cinematografico, espressione che ne evoca la “fattura” artigianale, frutto di un sapiente e accorto “taglia & cuci”. Le Cibo Matto hanno così confezionato dieci canzoni che, in non più di quattro minuti e mezzo ciascuna, condensano le più diverse atmosfere, dall’elettronica al jazz passando per il trip hop, il funk e la dance. Il disco, che non a caso è uscito il giorno di San Valentino, è un concept album ambientato in un hotel di New York teatro di bislacche storie d’amore e scorribande sessuali, popolato da fantasmi e personaggi “disegnati” con un linguaggio ironico e scurrile. Tra i tanti, un enigmatico seduttore che fallisce nell’impresa di conquistare la ragazza fantasma del decimo piano, e una cameriera che ruba le droghe dei clienti e si arricchisce a loro spese («He made a big stain, but it wasn’t Chianti, closed my eyes, I took your weed, got high!»)
Le Cibo Matto ci accolgono nell’ Hotel Valentine con il trip hop di Check In, e l’invito a farci “guidare” dalla nostra natura desiderante «be free from what you are / be free where you are». Segue Déjà Vu, srotolando un tappeto sonoro impreziosito da una trama che intreccia r&b, rap, pop e sfumature etno, 10th Fl. Ghost Girl è invece sospeso tra pop dell’Estremo Oriente e anni ’80 occidentali, grazie al connubio tra batteria, synth bass e sax. All’insegna dell’hip hop MFN, a cui partecipa il comico e musicista Reggie Watts,e che si segnala anche per il video deliziosamente kitsch e (auto) ironicamente barocco, grazie ai colori fluorescenti e vitaminici tipici degli anni Novanta. La title track riesce a essere sinuosa e spettrale al tempo stesso, merito dell’atmosfera lounge creata dal sax, evocando Maxinquaye, “gioiello” di Tricky. Empty pool si può definire invece un’ipnotica ballata elettronica, gravida di plumbei richiami e di claustrofobica malinconia: «in an empty pool I was swimming alone / but I felt someone calling me / the only thing I found was the world that I know / my heart was floating». Se l’inizio è stato all’insegna del trip hop, la chiusura ha un gusto dream pop: «Check Out tocca la parte acustica dello spettro (è il caso di dirlo) sonoro: non svela tutti suoi misteri, ma dà una specie di assoluzione serena, segnando il commiato perfetto delle Cibo Matto, che, così come sono arrivate, spariscono. Esattamente come uno spettro …»
Il disco è pervaso, al pari dei suoi ospiti, da una fitta coltre di mistero: i testi delle canzoni sono infatti volutamente ellittici, elusivi in quanto evocativi, più che descrittivi. Così, i temi che lo caratterizzano (solitudine, confusione, smarrimento) possono esser letti tanto in chiave esistenziale, quanto in chiave sociale.
Hotel Valentine arriva dopo dodici anni di silenzio da parte delle Cibo Matto: il disbanding, datato 2002, aveva infatti seguito il tour del secondo album Stereo Type A, pubblicato nel 1999. Yuka Honda e Miho Hatori si erano però incontrate nuovamente in occasione di un concerto di beneficenza alla Columbia University per le vittime dello tsunami, evento presenziato anche da Yoko Ono e suo figlio Sean Lennon. Quest’ultimo, che aveva collaborato con le Cibo Matto in occasione del loro secondo disco, ha poi pubblicato Hotel Valentine per la sua etichetta.
Le Cibo Matto sono riuscite nell’ardua e delicata impresa di (ri) connettere saldamente ciò da cui erano partite a metà anni Novanta con il loro ultimo, in ordine di tempo, approdo. Un punto di arrivo che, ci si augura, sia momentaneo e relativo, in attesa del prossimo lavoro, per il quale non vorremmo dover aspettare altri dodici anni. Il duo giapponese ha infatti dimostrato ed espresso un brio e un’ecletticità smaglianti, capaci di de-costruire e ri-definire generi e atmosfere con la stessa scattante autoironia degli esordi. Il medesimo, affilato, senso dell’umorismo che unisce, come un cerchio che si chiude, Hotel Valentine a Sugar Water, il cui sfiziosissimo video era stato realizzato da Michel Gondry.
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