Troppo spesso l’artista si ritrova, in epoca odierna, a essere costretto a una posizione scomoda, dovendo fare i conti con stereotipi e pregiudizi, “strumenti” di diffidenza che nascondono l’incapacità di cogliere peculiarità e criticità della sua figura. Da qui, l’importanza di iniziative capaci di stimolare e (ri)attivare la circolazione di pratiche, esperienze e suggestioni tra artista e comunità. Tra queste, la residenza artistica “Densi Dialoghi”, culminata con una mostra in corso a Lecce presso l’Ammirato Culture House, che offre l’occasione per interrogarsi con uno dei curatori dell’iniziativa, Luigi Negro (laureato in economia e sociologia con un dottorato in storia, attualmente coordina un osservatorio pubblico di sociologia clinica), su un grappolo di temi, articolati attorno al binomio arte/territorio.
Il progetto prende le mosse da un percorso di riflessione condiviso con Lu Cafausu e le Free Home University (www.freehomeuniversity.org) e sviluppato all’interno dell’ACH, con l’intento di sgretolare alcuni dei luoghi comuni più diffusi sulla figura dell’artista, come spiega Luigi Negro. «Trovo che sia sempre più claustrofobica la dicotomia fra l’idea dell’artista pieno di visioni egoiche e individualiste e quella che lo dipinge quasi come un manipolatore sociale; abbiamo quindi sentito l’urgenza e la necessità di aprirla e decostruirla. Nel dettaglio, è angosciante rimbalzare da un’idea di artista che si auto-protegge fino ad annullarsi dal mercato o nel mercato, fino a quella che pensa che l’artista lavori nella società reale, ma che debba comunicare a eletti o all’interno di dispositivi protettivi quali musei o spazi per l’arte o collezioni che a volte risultano realmente necessari. Luoghi ideali a “leggere” l’arte, ma che spesso divengono essi stessi strumenti per pianificare strategie di diverso tipo. Ciò crea, di fatto, una condiscendenza verso il denaro/capitale/mercato che vuole l’arte, o piegata o esclusa. Vi è anche un’altra arte che da diversi decenni si è connessa fortemente con la società: è quella nota come social practices, e che arriva a comprendere variegate forme di urbanesimo. Queste sono, a loro volta, in apparente contrasto di intenti con quell’arte che è all’interno della “società dello spettacolo” e strumento di seduzione di massa».
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