Cosa hanno in comune il blogging e le ciliegie? Il fatto che, in entrambi i casi, una volta iniziato, è difficile smettere (d’altra parte, perché lo si dovrebbe fare, in fondo?). Chi ha un blog conosce bene la sensazione d’insaziabile curiosità che si scatena scoprendo blogger che si occupano di argomenti per noi appassionanti e su cui abbiamo la sensazione di non leggere mai abbastanza, o, al contrario, temi lontani anni luce dal nostro mondo, e rispetto ai quali riescono a scatenare un inatteso ( e vorace) appetito. Se le parole, scritte e lette, sono cibo, bisogna scegliere con cura dove andare a mangiare. E uno dei posti assolutamente da non perdere su WordPress è Calamo Scrittorio, il blog di Monia Papa. Se ci siete “già stati” sicuramente avrete voglia di tornare sul “luogo del delitto”, se invece ancora non la conoscevate, dopo aver letto l’intervista che ho fatto con lei, non avrete più scuse. Piuttosto, andate a trovarla … e rimediate al tempo perso!
– Il tuo rapporto con la scrittura: tempestoso mare d’inverno, frenetica spiaggia agostana, o placido specchio d’acqua settembrino?
Mi piace molto questa domanda perché in effetti, a ben pensarci, la scrittura è un po’ come l’acqua. Solo che gli elementi in gioco nella formula chimica della scrittura, invece che l’idrogeno e l’ossigeno, sono le lettere e tutte le loro possibili combinazioni per dare vita alle parole.
L’essenza della scrittura, come la formula che definisce l’acqua, non muta, ciò che cambia è il contributo che noi possiamo dare alla scrittura e il nostro rapporto con essa.
Per me la scrittura diventa mare d’inverno quando mi rendo conto di come la scrittura, prima che cura, sia essa stessa malattia. Perché la scrittura, proprio come il mare d’inverno, può essere difficile e inospitale.
Scrivere ti costringe a mettere continuamente in discussione le tue percezioni sulle cose, e ti mette alla prova spingendoti a indagare di tutto ciò che vedi il volto più segreto.
La scrittura somiglia quindi a un fondale marino in una fredda notte di gennaio soprattutto nel momento della ricerca, quando ancora non sono stati versati fiumi d’inchiostro, nella fase dell’immersione nelle profondità più oscure e irresistibili delle storie.
Quando però arriva il momento di immergersi nella stesura, la scrittura sa anche diventare scintillante riva nel giorno di ferragosto. E tu, scrittore, sei lì, con i sensi come ovattati perché troppo preso dal compito a cui stai attendendo ma, al tempo stesso ,acuiti perché sai che ogni pezzo di vita che raccogli è una nuova tessera da raccontare.
Al vivere la scrittura come “placido specchio settembrino”, invece, non vedo l’ora di arrivarci. Penso sia quel magico momento in cui hai un successo letterario da contemplare e allora specchiarti nell’acqua non è più solo egocentrismo da scrittore ma un’occasione per veder scorrere sul pelo dell’acqua tutte le parole che hanno fatto venire la pelle d’oca a ogni tuo singolo lettore.
– Quali sono i virus più pericolosi per la scrittura e la lettura? Quali i farmaci per sconfiggerli?
Leggere è un po’ come incidersi le parole di altri sulla sclera degli occhi e, insomma, in un’operazione così delicata può capitare di infettarsi, certo. Secondo me i virus più pericolosi per uno scrittore che indossa i panni da lettore sono i Parvovirus e i Rhabdovirus.
Quando ci si ammala a causa di un Parvovirus leggendo altri autori non si fa altro che sentirsi piccoli piccoli. E se è importante non sentirsi mai arrivati è altrettanto importante sentirsi in grado di reggersi in piedi, almeno.
A uno scrittore che leggendo si becca un Parvovirus non si riesce a fargli prendere la sua dose quotidiana di scrittura neanche se si prova a imboccarlo. Perché? Perché questo scrittore ha la sensazione che tutto ciò che scrive sia infinitamente parvo, assolutamente insignificante rispetto a ciò che altri hanno scritto prima e contemporaneamente a lui.
Anche il Rhabdovirus non è da sottovalutare: leggere un’opera scritta da qualcun altro e arrabbiarsi perché si ritiene il successo di quell’opera immeritato non porta a niente. Anzi, può essere utile solo in un caso: se passata l’arrabbiatura si sfrutta l’energia di questo sentimento negativo per mettersi all’opera e impegnarsi a scrivere qualcosa che si reputi degni di nota.
Per la scrittura di uno scrittore i virus più potenti credo siano invece i Calicivirus, i Retrovirus e gli Astrovirus.
Quando uno scrittore è colpito da un Calicivirus, infatti, diventa incapace di alzare il calice e brindare ai propri successi come dovrebbe mentre, quando è un Retrovirus l’agente patogeno a cui lo scrittore non è riuscito a sottrarsi, ecco che la sua scrittura diventa un gambero: incapace di evolversi, di andare avanti, si ripiega su se stessa e fa solo passi indietro.
Infettarsi con un Astrovirus, al contrario, significa essere finalmente in grado di alzare gli occhi da ciò che si sta scrivendo (giusto un attimo, su) e guardare le stelle. E pensare di poterle raggiungere. La complicanza più grave? Riuscire davvero ad arrivare “per aspera ad astra”. Evenienza terribile, vero?
Come difendersi da questi virus mangiacarta e pappainchiostro? Ricordandosi che Il virus esiste solo se esiste un substrato emotivo su cui agire. Se si estirpa l’insicurezza folle ma anche l’arroganza, se si elimina la smania di ottenere un successo sempre migliore ma anche la paura di riuscirci… Ecco che i virus perdono il loro potere patogeno.
– Molti aspiranti blogger sono convinti di soffrire di una malattia particolarmente insidiosa, la sindrome del “non ho niente di veramente originale da dire”. Qual è il modo per capire se il malato, in realtà, è solo “immaginario”?
Se ti stai chiedendo se hai qualcosa da dire significa che qualcosa da dire, molto probabilmente, ce l’hai eccome. Sai perché? In primo luogo perché, in fondo, tutti abbiamo qualcosa da dire.
Il problema, più che altro, è essere in grado di dirlo nel modo migliore, essere capaci di trovare per le proprie vagonate di parole i binari giusti e i treni più adatti a veicolarle.
Ma la blogosfera è un villaggio grande in cui se hai la voglia e la pazienza di cercare puoi sempre trovare qualche bravo sciamano capace di incantarsi col suo modo di usare le parole e consigliarti.
Inoltre il fatto stesso di porsi una domanda come “ho qualcosa da dire?” significa aver voglia di mettersi in discussione e non accontentarsi di dare agli altri qualsiasi cosa ti passi per la mente, anche col rischio di dare degli scarti.
Ecco, avere il preciso desiderio di donare qualcosa di valore col proprio blog fa del blogger che nutre questo desiderio un blogger capace di riflettere sempre costruttivamente sul proprio contributo. E questa dote è il miglior piccone per scavarsi dentro fino a trovare di certo “qualcosa di veramente originale da dire”.
– Quando la vena creativa entra in sciopero, lo sconforto si abbatte sul blogger peggio della calura estiva. Qual è il vademecum più efficace per far risalire tempestivamente il tasso di zuccheri della mente?
Quando ho la sensazione che la mia scrittura stia rischiando di diventare più sciapa di una galletta di riso (mi scusino quelli che trovano saporitissime le gallette di riso) semplicemente cambio cibo.
Se ti senti insipido, se la tua creatività ti sembra una distesa d’acqua salata ormai prosciugata (e in cui anche il sale, oltre l’acqua, è inspiegabilmente, sparito), è inutile accanirsi e cercare di abbeverarsi sempre alla stessa fonte provando e riprovando a scrivere una frase insapore dopo l’altra.
Meglio provare a rimpolpare la propria vena creativa addentando un frutto nuovo, dedicandosi a un’altra attività che addolcisca la giornata. Se la vena creativa ha deciso di entrare in sciopero tu, invece di punirla, portala a spasso. Io faccio così: lascio che la mia creatività possa assaporare tutto ciò che le va perché so che solo se ben nutrita potrà farmi sfornare contenuti (che mi auguro siano) di qualità.
La scrittura è come i batteri, va coltivata.
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