43 anni dopo la strage di Ustica, la verità dei fatti è ancora un corpo smembrato di cui, con estrema fatica, abbiamo ritrovato solo qualche pezzo. Un braccio, una gamba, forse anche qualche oggetto personale, ma non la testa né il tronco, che poi sono quello che raccorda e dà vita, letteralmente, all’insieme.
«L’incidente al DC-9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC-9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti»
Così si legge nelle conclusioni dell’ordinanza con cui, nel 1999, culminò l’istruttoria del magistrato Rosario Priore. Oltre non era stato possibile spingersi, né, quindi, individuare con certezza chi (quale Paese) aveva fatto cosa (missile?) la sera del 27 giugno 1980. Tuttavia, venne rilevato chiaramente e cristallizzato a postuma memoria, «che reticenze e false testimonianze, sia nell’ambito dell’aeronautica militare italiana sia della Nato» avevano «avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto».
Dobbiamo questi pezzi di verità all’impegno di Rosario Priore, alla scrupolosità dei periti che hanno collaborato con lui, all’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica ed al lungo, meticoloso e appassionato lavoro del giornalista Andrea Purgatori.
Manca interamente, invece, la giustizia processuale sui fatti del 27 giugno 1980. Nessuna assunzione di responsabilità e relativa pena da scontare per chi buttò giù l’aereo, per chi ai vertici sapeva ma negò, per chi partecipò a far sparire i nastri, manomettere gli ordini di servizio, e fabbricare scuse risibili per giustificare radar spenti/guasti proprio nei momenti cruciali della tragedia.
Il muro di gomma rappresenta l’istantanea di tutto questo, anche se è stata scattata 32 anni fa. È un film, questo, ancora oggi crudelmente attuale, indispensabile da vedere per capire cos’è stato (anzi, cos’è) la strage del 27 giugno 1980 avvenuta tra Ponza e Ustica.
È (stata) prima di tutto il momento zero – definitivo – nella vita di 81 persone.
Un corto circuito nell’esistenza di chi amava ognuna di loro. Una ferita che ha sanguinato copiosamente fino a sfociare in emorragia. Con il tempo si è trasformata in cicatrice destinata a riaprirsi ciclicamente, ogni volta che qualcuno che ha ricoperto (importanti) ruoli istituzionali prende la parola e lancia nell’arena un nuovo pezzo di verità, fingendo di avere dubbi che si tratti davvero della testa o del tronco a lungo affannosamente cercati.
La strage di Ustica è (stata) un Paese che, come un pesce, si dibatte senza sosta dopo essere rimasto impigliato in una rete le cui maglie sono l’appartenenza al blocco occidentale (con annessi obblighi di “fedeltà”) e i propri, specifici, interessi ed obiettivi economici.
È (stata) almeno 15 suicidi avvenuti, guarda un po’, “al momento giusto”…per qualcuno .
Un percorso certosino, a tratti sfibrante, di inchiesta e scavo, navigando in un mare pieno di insidie, tra cui onde anomale di non so/non ricordo e forti e avverse correnti di strampalate ipotesi (bomba a bordo, cedimento strutturale).
La rabbiosa frustrazione di chi sente verità e giustizia scivolargli dentro i pugni chiusi, come sabbia, ma con indomita alacrità non smette di provare ad afferrarle.
È (stata) anche questo film, da portarsi dietro come un amuleto per i giorni che sembrano smarriti. Una bussola che non smetterà mai di orientarci – e orientarmi – grazie alla regia di Marco Risi, all’interpretazione accorata di Corso Salani, ed al contributo alla sceneggiatura di Andrea Purgatori.
Il muro di gomma è una ferita che non smette di sanguinare, e c’è da augurarsi che non cicatrizzi mai. Senza memoria, il bisogno di verità è inchiostro destinato a scolorire, e quest’ultimo significa cammino spezzato, interrotto, muscolo dell’agire atrofizzato.
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