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30 Maggio del 1431, Rouen (Francia), una 19enne viene condotta davanti al tribunale ecclesiastico presieduto dal vescovo transalpino Pierre Cauchon per essere interrogata. La giovane donna si fa chiamare Pulzella (vale a dire, vergine), proviene da una famiglia contadina, è analfabeta, ma con spirito indomito e tenacia fuori dal comune ha dato un contributo decisivo alla vittoria dei francesi contro gli inglesi nella Guerra dei Cent’anni.

Si tratta di quella che noi conosciamo come Giovanna D’Arco o Pulzella D’Orléans, e questa è la sua ultima giornata in vita. Per ricostruirla, come si legge nell’incipit del film, si è rivelata fondamentale la trascrizione del processo conservata nella biblioteca della Camera dei Deputati a Parigi. Il verdetto finale è la condanna a morte.

Giovanna D’Arco – C.T. Dreyer

La Pulzella indossa abiti maschili e sostiene che le è apparso San Michele. Questo basta al tribunale ecclesiastico per accusarla di possessione demoniaca. La realtà, però, è che lei è invisa in quanto impegnata in prima linea contro gli inglesi, in nome dei quali agisce il vescovo Pierre Cauchon.

Giovanna d’Arco viene così arsa viva sul rogo, dopo aver subito varie umiliazioni, che non fanno che acuire il suo senso di solitudine ed estraneità, ma al tempo stesso il suo legame ed il dialogo interiore con Dio.


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Il destino deciso per lei si compie, ma il popolo è dalla sua parte, ed insorge, mentre la vede dissolversi tra le fiamme. Tocca ai militari inglesi reprimere nel sangue la sommossa…

Giovanna D’Arco (1928) – Renée Falconetti

Tra espressionismo tedesco e avanguardie francesi

Accuratezza e minimalismo/essenzialità. Si può riassumere così il lavoro del regista Carl Theodor Dreyer. E la contraddizione è solo apparente.

Il cineasta danese volle ricostruire in modo meticoloso il castello di Rouen, dove Giovanna d’Arco fu processata.  Nel progetto fu coinvolto anche Hermann Warm, lo scenografo de Il gabinetto del dottor Caligari, a cui venne affidata la realizzazione di modellini in miniatura dei luoghi molto precisi.

Tra set e scenografie, per Giovanna D’Arco furono spesi sette milioni di franchi: la cifra più alta dell’epoca in Europa. Tuttavia, Carl Theodor Dreyer scelse di non offrire allo spettatore un’ampia visuale delle ambientazioni. Riteneva fosse sufficiente che le vedessero gli attori, perché questo avrebbe consentito loro di immedesimarsi nei personaggi, calandosi appieno nella vicenda e nell’epoca storica rappresentata.

Giovanna D’Arco (1928) – Renée Falconetti

Il regista volle restituire al pubblico pochi ma efficacissimi elementi di contesto, perché carichi di significati simbolici. Ad esempio, la grata della cella in cui si trova la Pulzella, che proietta la sua ombra a terra suggerendo la forma di una croce, o il teschio che viene disseppellito mentre viene scavata la fossa destinata a Giovanna.

Ispirandosi ai codici miniati medioevali, Carl Theodor Dreyer realizzò scene caratterizzate da una prospettiva scorretta, e tramite il montaggio evocò uno spazio disagevole, claustrofobico e discontinuo. Atmosfera accentuata rapidamente subito prima dell’esecuzione di Giovanna, ricorrendo a scene capovolte.

Carl Theodor Dreyer chiese agli attori di recitare senza trucco, e utilizzò esclusivamente primi e primissimi piani, avvalendosi della fotogenia, elemento peculiare delle coeve avanguardie francesi. Le inquadrature sono così ravvicinate, che lo spettatore sente quasi di invadere lo spazio intimo e interiore del personaggio: ha la percezione, a tratti disturbante e acuminata, di frugargli dentro.

Eugène Silvain

Sembra che da un momento all’altro gli attori balzino fuori dallo schermo, e ci afferrino. Specularmente, guardando, abbiamo il fortissimo impulso di toccare quei volti, quasi volessimo accertarci della loro consistenza, sentire la pelle sotto le dita, verificare se è liscia o grinzosa, tastare i minacciosi porri che fanno capolino sulla fronte e sulla guancia del vescovo. Verificare se le ciglia di Giovanna D’Arco, rese tridimensionali e plastiche dal pianto che le inumidisce, sono sottili o spesse.

Insomma, lo spettatore avverte una forte esigenza di tattilità, ha bisogno di trovare conferma corporea dell’energia disperante e allucinata che emanano quelli sguardi.

Giovanna d’Arco: una solitudine che urla e sanguina

L’attrice Renée Falconetti è riuscita a rendere carne la risolutezza e la determinazione con cui la Pulzella affronta la sua personale via crucis scandita da interrogatori impregnati di pregiudizi, derisione malevola, e gesti che vorrebbero svilire, portare al grado zero la sua dignità di essere umano. Il tutto, senza riuscirci.

Il suo viso candido è in netto contrasto con quelli dei giudici, solcati da rughe e tesi in espressioni grottesche, ai limiti del luciferino.

Giovanna D’Arco (1928) – Renée Falconetti

Renée Falconetti prende su di sé, si immerge nel travaglio della Pulzella, per questo è riuscito a tradurlo in modo sorprendentemente, sia dal punto di vista fisico, che da quello emotivo. Anzi, per la precisione volle riviverlo sulla sua carne, infatti accettò sia di rasarsi i capelli, che di subire effettivamente il salasso rappresentato nel film, anche se poi la scena venne affidata ad una controfigura.

L’odissea del film Giovanna D’Arco

La diffusione del film incontrò molteplici ostacoli. La prima e unica occasione in cui fu proiettata la versione originale priva di tagli e censure fu il 21 aprile 1928 al Cinema Palads Teatret di Copenhagen.

Il debutto in Francia fu invece funestato dall’ostruzionismo nei confronti del regista, “colpevole” di essere straniero e di non essere cattolico. L’Arcivescovo di Parigi e la censura governativa imposero numerose “sforbiciate” alla pellicola, impedendo a Carl Theodor Dreyer di esercitare un qualche controllo su questa operazione.

Antonin Artaud

Nel dicembre 1928 venne perso il negativo originale a causa di un incendio agli Ufa Studios di Berlino, dove lavorava il direttore della fotografia Rudolph Maté. Il regista danese montò una versione alternativa del film utilizzando scene inedite, ma anche questa andò persa neo 1929 in un incendio che interessò i laboratori della G.M.  a Boulogne Billancourt.

Così, per quarant’anni fu quasi impossibile reperire entrambe le versioni di Giovanna D’Arco. Nel 1933 e nel 1951 vennero approntate e distribuite delle versioni alternative rivisitate, e solo nel 1981 un dipendente di un istituto psichiatrico nei pressi di Oslo rinvenne alcuni contenitori di pellicole con un’etichetta che riportava il titolo del film di Carl Theodor Dreyer.

Solo dopo tre anni, però, questo materiale venne esaminato dal Norwegian Film Institute, e si scoprì che si trattava di una copia della prima versione non censurata, che venne poi restaurata dalla Mathematical Technologies Inc, mentre Maurice Drouzy e Ib Monty si occuparono della traduzione dal danese al francese delle didascalie. È grazie a loro se il film è arrivato ai giorni nostri, offrendoci un affresco indelebile e toccante del dolore, e della crudeltà a cui l’uomo può arrivare quando la religione è oggetto di strumentalizzazione.

Clicca qui per il trailer del film

2 responses to “Film muti che hanno fatto storia – Giovanna D’Arco (1928) – C.T. Dreyer”

  1. A mio avviso un film che non è invecchiato di una virgola. A livello visivo mostra una forza incredibile, una tipo di forza che si riflette sulla narrazione e ci regala un’opera completa. Per me è un film straordinario.

    1. Concordo, ancora oggi emana un’energia deflagrante. Esonda, in un certo senso. Probabilmente il pubblico dell’epoca non era pronto per un impatto visivo ed emotivo di questa entita’. Fortuna che, anche se per vie traverse, la pellicola e’ arrivata a noi nella versione concepita da Dreyer.

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