fbpx

Vita vita, che mi dai? Almeno dammi lui
E lui non viene mai, perché non viene mai?

Vita vita, ma che fai?
Non mi dai neanche lui, e lui non verrà mai
Perché non verrà mai?

Vita vita, ti darei la vita io darei
Ma non rapirmi lui, ché c’ho soltanto lui

Vita che vita sol per lui
Tu fa quello che vuoi, farò quel che vedrai
E te ne accorgerai

L’unico amore e ragione di vita di Lea è il figlio Michele, studente universitario di medicina. Il ragazzo ha seguito al nord Italia il padre, trasferitosi per motivi di lavoro dopo aver abbandonato la Campania.

Gran bollito - Shelley Winters

Lea li raggiunge, pur tra iniziali remore e diffidenze circa le decisioni prese dal marito in sua assenza. Prima tra tutte, la scelta di una casa esposta a nord (direzione foriera di cattivi presagi), (fin troppo) grande, piena di mobili (presi a rate), e che poi toccherà a lei tenere in ordine.

Neanche il tempo di ambientarsi nella nuova città, e Lea deve già far fronte ad un grave problema che la porta a diventare a tutti gli effetti il capofamiglia. Un ruolo, questo che, sebbene carico di doveri, responsabilità ed ansie, non le dispiace affatto, anzi, sembra esserle molto congeniale.

In breve, anche grazie al banco del lotto preso in gestione all’interno del palazzo in cui abita, la donna diventa il punto di riferimento per un microcosmo al femminile costituito dalle vicine di casa, dalle loro conoscenti e amiche, e dal parroco.

Alberto Lionello - Max von Sidow - Renato POzzetto

Con la pragmatica e disincantata solidità che le deriva dall’esperienza di indelebili dolori (innumerevoli aborti spontanei e la perdita di tre figli piccolissimi), Lea rappresenta la confidente ideale.

Perfino per le dirimpettaie pettegole e piene di pregiudizi verso i meridionali costituisce una figura degna di nota…

…si profila però all’orizzonte l’abbandono dell’adorato Michele, fidanzatosi con Sandra, una dolce e volitiva insegnante di ginnastica. Per Lea questo è inaccettabile e inimmaginabile: come potrebbe il ragazzo rivelarsi tanto ingrato, dopo tutta l’energia profusa, e le rinunce fatte per vederlo nascere e crescere sano e forte?

Peraltro, si avvicina l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale: così l’abbandono temuto da Lea rischia di trasformarsi in un distacco definitivo e irreversibile. Nel tentativo di scongiurarlo, la donna decide di mettere a frutto le sue conoscenze in materia di stregoneria, e sacrificare tre vite per salvare il suo bene più grande.

Gran bollito - Shelley Winters

A cadere sotto i colpi implacabili della sua accetta sono Berta, Lisa e Stella, tre donne non più giovanissime che ripongono in lei massima fiducia. Lea allestisce al meglio la cucina- mattatoio per smembrarne i cadaveri, scioglierli nella soda caustica e farne cremose saponette. Le ossa, invece, diventano l’ingrediente principe degli squisiti biscottini che offre alle superstiti durante le consuete merende casalinghe.

A determinare il suo arresto è la collaborazione tra un impiegato di banca ed il commissario locale. Due uomini che irrompono inaspettatamente in una tragedia in cui sia la carnefice che le vittime sono donne.

Renato Pozzetto - Shelley Winters - Rita Tushingham - Max von Sidow

Gran bollito e l’eco della vicenda della saponificatrice di Correggio

Nonostante la didascalia iniziale precisi che il film sia ispirato a fatti accaduti in America, Egitto ed Italia, sono più che evidenti le analogie ed i punti di contatto con un episodio di cronaca risalente agli anni Quaranta. Quello che vide protagonista una donna minuta e apparentemente innocua oltre che insospettabile: Leonarda Cianciulli, ribattezzata la saponificatrice di Correggio.

Originaria della Campania, negli anni Trenta la donna si era trasferita con la famiglia nel comune in provincia di Reggio Emilia, a seguito del terremoto del Vulture.

Sin da subito, aveva dovuto fare i conti con svariate difficoltà: concepita a seguito di una violenza carnale, la Cianciulli era affetta da epilessia, e la madre l’aveva maledetta sul letto di morte, prevedendo per lei indicibili sofferenze.

Leonarda Cianciulli - saponificatrice di Correggio

Subì tre aborti, e dieci figli ancora neonati morirono in culla. A detta della donna, per riuscire a portare a termine le gravidanze e veder crescere i piccoli fu necessario l’intervento di una maga. Madre di quattro bambini (una femmina e tre maschi), sviluppò un legame strettissimo e simbiotico con il più grande, Giuseppe.

Dopo che il marito la lasciò, Leonarda mise a frutto le sue conoscenze nel campo della magia, chiromanzia ed astrologia per provvedere ai figli. A Correggio, intanto, si era guadagnata la stima e l’apprezzamento di molti : lì non era più etichettata come una donna di dubbi costumi dedita a truffe e piccoli espedienti per sbarcare il lunario. In Pianura Padana era semplicemente una persona un po’ bizzarra, ma brillante.

Finché lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la indusse a fare ricorso di nuovo alle pratiche magiche non per “lavoro” ma a scopo personale. La priorità era garantire la salvezza di Giuseppe, e questo giustificava perfino lo spargimento di sangue di persone ignare e innocenti.

Caddero quindi nella sua rete di promesse e raggiri tre donne mature, in rapida successione: Ermelinda Faustina Setti, Francesca Clementina Soavi e Virginia Cacioppo.

La trappola architettata da Leonarda Cianciulli si rivelò infallibile, in quanto ruotava intorno ad un desiderio irresistibile per tutte e tre. Una nuova vita lontane dall’angusto contesto di provincia in cui erano cresciute. Un “secondo tempo” all’insegna di un nuovo e più soddisfacente lavoro, e di un amore che le accompagnasse fino alla fine dei loro giorni.

La morte arrivò effettivamente, però assai più rapida e crudele di quanto avrebbero immaginato. Ermelinda Faustina Setti fu assassinata a dicembre del 1939, Francesca Clementina Soavi a settembre del 1940, e Virginia Cacioppo due mesi dopo.

I corpi delle tre furono sezionati e sciolti nella soda caustica per ricavarne saponette; il sangue fu utilizzato per impastare alcuni dolci. Ciò che non poteva essere re-impiegato dei poveri cadaveri, invece, venne gettato in un pozzo nero.

Gli inquirenti risalirono alla Cianciulli grazie ad un buono del Tesoro appartenente a Virginia Cacioppo. Leonarda, infatti, prima che le tre donne iniziassero una nuova vita, si era assicurata il controllo di tutti i loro averi. E con la complicità del figlio Giuseppe, aveva inviato false cartoline di saluto ai conoscenti delle vittime per non destare sospetti.

La saponificatrice di Correggio fu condannata a tre anni di ricovero in un manicomio criminale e a 30 di reclusione. Morì nel 1970 nell’ospedale psichiatrico di Pozzuoli per un’apoplessia cerebrale.

Le peggiori brutture si nascondono tra le pieghe di ciò che consideriamo domestico

Gran bollito mescola commedia e dramma, inserendoli in un contesto caratterizzato da familiarità e consuetudine. È proprio questo, spesso, il retroterra di tragedie in cui il perturbante sconfina nel grottesco.

La quotidianità di Lea, interpretata in modo disperante ed assai convincente da Shelley Winters, è fatta di fatica, pesi, letterali e non, da portare. Il suo sguardo è intriso di una tristezza atavica. E parla di una quantità indefinita di giorni tutti identici, in cui l’unico obiettivo è riuscire a sbarcare il lunario schivando la raffica di colpi bassi inferti dal destino.

Shelley Winters - Mauro Bolognini

Il pozzo senza fondo di questa afasica malinconia è cristallizzato nella colonna sonora di Gran bollito, scritta da Enzo Jannacci, il cui fiore all’occhiello è la canzone cantata da Mina sulle prime scene del film.

Il corpo, i vestiti ed i gesti di Lea potrebbero essere quelli di una delle anziane zie o amiche di famiglia che hanno accompagnato la nostra infanzia. Donne che indossavano gambaletti color carne, le mani rese ruvide dal costante contatto con l’acqua, e la cui ampia casa ci incuteva un certo timore. Forse per via di un corridoio che appariva interminabile, o magari per le tante porte dischiuse su stanze buie e misteriose.

Donne che la domenica pomeriggio invitavano le amiche e i nipotini per fare merenda in un salotto opulento e kitsch. Porgevano ai piccoli caramelle o dolci fatti in casa con un sorriso ed un’allegria forzati. Quelli dietro cui era occultata e (mal) celata un’aggressività e frustrazione che riemergeva nei gesti affrettati e stizziti a seguito di (piccoli) imprevisti.

Gran bollito - Renato Pozzetto

Lo sguardo di un bambino è libero dalle sovrastrutture, non conosce filtri né il politicamente corretto, e quindi coglie subito il senso di claustrofobia e pericolo che si nasconde dietro l’apparente soavità della terza età, come pure, talvolta, la componente anche fisicamente spaventosa di ospitali vecchine. Non solo, l’infanzia è la stagione perfetta per far correre a briglia sciolta la fantasia lungo questi sentieri.

In Gran bollito Mauro Bolognini sceglie di affidare i ruoli delle tre vittime di Lea ad altrettanti attori uomini travestiti da donna: Alberto Lionello (Berta), Max von Sidow (Lisa) e Renato Pozzetto (Stella). Il loro ingresso e presenza in scena concorrono a generare e far lievitare inquietudine e irrequietezza, anche grazie ad una regia asciutta, senza estrosità e stravaganze.

Lionello incarna il vitalismo spesso debordante a cui Berta non intende rinunciare, ma che convive con paure e titubanze un po’ bambinesche. Von Sidow interpreta una donna che vorrebbe costringersi al rigore estremo, oltre che ad un altruismo altrettanto integralista. Tuttavia, deve combattere con le continue incursioni seduttive del demonio. Pozzetto, invece, conferisce al personaggio della tedesca Stella un candore ed una buffa compostezza che, verso la fine, regalano agli spettatori una sorpresa.

In Gran bollito la violenza deflagra con la naturalezza di un fiume che corre verso il mare. Come se, viste le premesse, la storia non potesse (più) prendere un’altra piega. Travolgendo tutte, anche Sandra (Laura Antonelli), Tina (Milena Vukotic), Maria (Rita Tushingham) e Palma (Adriana Asti), sebbene non direttamente coinvolte nella mattanza.

Per un’emblematica coincidenza, Gran bollito va in tandem con Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, uscito lo stesso anno, e che annovera nel ruolo della protagonista femminile proprio Shelley Winters.

Shelley Winters - Alberto Sordi - Mario Monicelli

Due spaccati ambientati in epoche diverse, ma accomunati dalla stessa urgenza. “Confezionare” una giustizia su misura delle proprie asfittiche esigenze, figlie di uno sguardo reso angusto dal cieco egoismo.

Clicca qui per vedere il trailer del film


Ti potrebbe interessare anche

Gruppo di famiglia in un interno (L. Visconti, 1974)

Leave a Reply

Trending

Discover more from La ferita del caffè

Subscribe now to keep reading and get access to the full archive.

Continue Reading

%d bloggers like this: